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Nel Mato Grosso, il pantano più bello del mondo

14.06.2012 // Natura e sport

Ringraziamo per questo bell’articolo Guya Mina.  Argentina di nascita, Guya Mina ha coniugato la sua passione per l'ambiente - è stata anche consigliere regionale del WWF - con la professione giornalistica, lavorando  per dieci anni ad AIRONE.
Successivamente  è stata  reporter e  fotografa di viaggi free lance, andando  in cerca di natura in Africa, Europa ed Australia, ma privilegiando sempre la scoperta del suo continente d'origine, il Sudamerica.

 

A sud dell’Amazzonia c’è una pianura grande quanto tre  quinti dell’Italia  che per  sei mesi  all’anno si trasforma in un mondo  di lagune dove i  giaguari e i caimani vivono  assieme  agli uccelli più spettacolari.

Pantanal: è questo i nome dell'eden situato nel centro esatto del Sudamerica  dove mi sto inoltrando da giorni, alla scoperta di una “terra paludosa”(è la traduzione letterale) molto diversa da quello che il nome  lascia intendere: è il pantano più sorprendente e ricco di  vita dell’intero pianeta. E anche il più vasto, ma le acque  di  questa  zona umida, grande quanto Austria e Ungheria assieme, non sono ferme, stagnanti. Un po’ come il Nilo, il fiume  Paraguay inonda regolarmente, insieme con i suoi affluenti, l’immensa piana alluvionale.

Così, per i sei mesi della stagione delle piogge e degli allagamenti, il Pantanal diventa un mondo d’acqua interrotto da isole e lingue boscose di terra; ma poi il Paraguay si ritira, l’acqua viene riassorbita dal terreno e resta  solo la rete intricata di fiumi e laghi: è la stagione secca, che va da aprile a settembre.

Una terra incantata degna di una fiaba, dove ho visto le farfalle  posarsi sui caimani e i capibara, roditori dalle dimensioni di maialini, guardarmi con curiosità pari alla mia; dove il blu delle are, i pappagalli più grandi al mondo, era così intenso da abbagliarmi, e dove ho  visto alberi fioriti di grappoli di aironi. Dove, al tramonto, il cielo mi è apparso solcato da nuvole nere e rosa di cormorani e spatole.

E’ l’imbrunire, e le distese di erba a savana (i cerrrados) si animano di altri abitatori del Pantanal, venuti a foraggiare tra il bestiame. Intorno alle pozze che ribollono di pesci intrappolati si aggirano ibis e cicogne americane, garzette e aironi, mentre quei toponi dal muso accattivante, i capibara, si fanno notare per la buffa andatura dinoccolata quando  si spostano indolenti, seguiti da una mezza dozzina di piccoli. C’è poca acqua, e per i capibara anche le pozze fangose della nostra sterrata sono buone per il bagno.

Quando il fiume Paraguay esce dal letto insieme con il Taquarí, il Pequerí, il São Lourenço, il Cuiabá e altri ancora, i tre quarti del Pantanal vengono ricoperti da una coltre d’acqua che può essere di poche decine di centimetri, ma anche di sei o sette metri. L’alternarsi di terre ora sommerse ora asciutte crea una molteplicità di nicchie ecologiche per specie acquatiche e terrestri.

Alla base di una complessa catena alimentare stanno le lagune, ricchissime di organismi. Ed è una esplosione di vita in ogni stagione. Ovunque, e per primi, vedi gli yacaré, caimani  che vivono solo in questi luoghi, starsene stesi in file ordinate ai bordi degli stagni, oppure fare capolino  sotto i ponti della Transpantaneira, l’unica strada che penetri nel Pantanal. Smetti di contarli dopo che in una mezz’ora sei arrivato a centro; e stenti a credere che questi animali  siano minacciati di estinzione, come sono in effetti. Vedi garzaie immense, di cinquecento aironi, e aironi straordinari, striati come tigli o con gli oc chi elegantemente bistrati d’azzurro, oppure pappagalli colorati e vocianti di una ventina di specie diverse. Non per niente, questa è considerata l’area più importante del Sudamerica quanto ad avifauna.

Ad ammirare questa vita straordinaria vengono turisti da ogni parte del mondo. Quasi tutti si servono di quella ideale “strada nel parco”  che è  la  Transpantaneira, 145 chilometri che non portano da nessuna parte: sono la realizzazione parziale di un nefasto progetto di “modernizzazione” della grande pianura. Ma oltre che in auto, il Pantanal va scoperto a piedi, per arrivare, guidati da un rauco “arah-arah”, fin sotto l’albero delle lucenti are giacinto, o per sentire al tramonto il bosco che risuona dell’inquietante concerto delle scimmie urlatrici; oppure a cavallo, per  gustare dalla sella di un cavallino pantaneiro il cielo ampio, reso profondo dai gropponi di nuvole che lo scandiscono come quinte, o gli orizzonti che chiudono la savana in un cerchio perfetto. O ancora, su una canoa scavata in un tronco, per inoltrarsi sotto la volta della foresta, e sorprendere dopo una curva un tapiro al bagno, e cercare di  fotografare, ramo dopo ramo, le garzette più eleganti oppure i martin pescatori più  colorati: e non riuscirci, tanti sono. E allora, posare la reflex e restare semplicemente a guardare e ad assorbire il respiro profondo di vita del Pantanal.
 

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