Nell’estremo lembo argentino della provincia di Misiones che si insinua tra il Paraguay e il Brasile, sorge quello che viene considerato l’esempio meglio conservato del sistema gesuitico delle reducciones del Río de la Plata: San Ignacio Miní.
Nella zona tra Bolivia, Paraguay, Brasile e Argentina i gesuiti hanno organizzato fino al 1767, anno della loro cacciata dalle colonie spagnole, dei complessi sistemi di autosostentamento per i villaggi dove radunavano gli indigeni e alcune testimonianze della loro opera evangelizzatrice sono tuttora visibili (tra cui in Bolivia alcune bellissime chiese missionarie ancora in funzione), ma San Ignacio, nonostante il fatto che siano rimasti quasi solo i perimetri delle sue costruzioni, è il migliore esempio giunto fino a noi di quello che era l’insieme del villaggio, con i suoi edifici, la piazza centrale, le abitazioni, i laboratori, la casa dei sacerdoti e il cimitero.
Ad accogliere i visitatori restano parte degli imponenti muri della facciata della chiesa, decorata con elementi architettonici e scultore in quello stile meticcio che univa elementi di ispirazione europea e motivi indigeni: il barocco guaranì.
Dove un tempo si apriva la grande porta, ora si entra per ripercorrere quegli spazi che, a seguito dell’abbandono della missione con la cacciata dei gesuiti, non furono più percorsi per oltre un secolo, fino a quando le rovine di San Ignacio non furono riscoperte a fine ‘800.
La chiesa, cui appartengono i resti più imponenti, era monumentale: lunga 74 metri, con muri spessi due metri costruiti in pietra arenaria rossa, in forte contrasto con l’azzurro intenso del cielo e il verde della foresta subtropicale.
C’è anche una presenza italiana nella storia di questa missione. Inizialmente costruita in territorio brasiliano per opera di due gesuiti italiani, successivamente, per evitare gli attacchi dei bandeirantes brasiliani a caccia di schiavi, fu spostata nell’attuale territorio argentino e la sua chiesa progettata da Giovanni Brasanelli , un architetto italiano.
La chiesa è l’edificio più importante della missione e si affaccia sulla piazza, fiancheggiata dai laboratori, la cucina, le scuole, le abitazioni dei religiosi e il cimitero. Nel 1733 gli alloggi per gli indigeni arrivarono a ospitare fino a 4000 persone.
Prima di recarvi alle rovine, visitate il piccolo ma interessante museo. Potrete conoscere la storia dell’impegno missionario dei gesuiti, i loro metodi per convertire gli indios e far loro accettare una vita sedentaria ed educarli al lavoro artigianale e all’arte. La loro dedizione fu certamente premiata, dato che fu proprio in una delle loro missioni che nacque la prima tipografia dell’America Latina e dai loro laboratori uscirono vere opere d’arte di pittura e scultura. Per non parlare della musica, che gli indigeni appresero con grande facilità.
La storia delle missioni sul Río Paraná, ha ispirato, con qualche licenza artistica, il film The Mission dove in alcune scene viene utilizzata una ricostruzione di come doveva apparire nel XVIII secolo quella che viene definita “la grande missione di San Miguel” .
La storia della straordinaria esperienza delle missioni gesuitiche è fatta di idealità e di calcolo politico, di dedizione e di imposizioni, di incredibili risultati artistici, grazie alla naturale propensione degli indigeni per la musica, per la pittura e la scultura e di terribili violenze e sterminii, ad opera delle bande di cacciatori di schiavi con la complicità di proprietari terrieri e autorità politiche che mal sopportavano il crescere dell’influenza gesuitica.
Una storia tragica e a volte incredibile, come quando gli indigeni ormai pacifici e non più abituati alla guerra, armati e guidati dagli stessi padri gesuiti resistettero con successo agli attacchi dei bandeirantes, che tra il 1628 e il 1631 avevano razziato e ucciso 60.000 indigeni.
Fu a partire da questi attacchi che le missioni più esposte vennero abbandonate e gli insediamenti spostati verso l’interno della provincia di Misiones. I gesuiti organizzarono un esercito di 4000 indigeni che si batterono ripetutamente contro i brasiliani fino allo scontro decisivo, la battaglia di Mbororé, nel 1640.
Le conseguenze di questa vittoria furono il consolidamento delle riduzioni gesuitiche e il freno all'avanzata portoghese nei territori della Corona spagnola. Aumentò così l'autonomia delle missioni, che prosperarono ancora per più di un secolo. Un’autonomia, però, che fornì anche il pretesto per l'espulsione dei gesuiti dall’America Latina e la fine dell’utopia.