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I maya hach uinik - i veri uomini

06.12.2012 // Messico

lacandone trudi blom

I maya  hach uinik - i veri uomini

Mostra fotografica a cura di Ken Damy - dal 15 dicembre 2012

ken damy visual art e spazio contemporanea

corsetto sant'agata 22 - loggia delle mercanzie

Brescia

 

dal giovedì al sabato
dalle 15.30 alle 19.30
altri giorni su appuntamento 

 

info@museokendamy.com

 

(Presentazione della mostra)

Per secoli sono vissuti nella sierra lacandona, tra il Chiapas e il Guatemala, in completo isolamento, conservando l'indipendenza e la cultura degli avi.
La "nostra" civiltà ha conquistato gli ultimi gruppi di quegli indios, che ormai si stanno integrando nella cultura occidentale.
Oggi, con i moderni mezzi di comunicazione, l'isolamento è finito.
Così, il mondo maya scompare per la seconda volta.


Queste parole introducono la straordinaria esperienza di Gertrude Duby Blom, fotografa e giornalista svizzera.
Per quasi cinquant'anni Gertrude ha vissuto con i Lacandoni, combattendo per la loro sopravvivenza.


La sua tenacia ha vinto: si può dire, infatti, che li ha salvati dall'estinzione.
I moderni lacandoni, che parlano un dialetto maya yucateco, restano comunque gli unici custodi della più pura cultura maya.


Poligami, abitavano dispersi nella vastità della giungla, in accampamenti di poche famiglie accuratamente mimetizzati. Coscienti e orgogliosi di essere i soli discendenti incontaminati dei maya, sulle cui piramidi essi celebravano gli antichi riti, i lacandoni chiamavano se stessi hach uinìk, "i veri uomini", lo stesso termine usato dalle caste aristocratiche e sacerdotali degli antenati, millecinquecento anni prima. Ma un brutto giorno questo nostro mondo cominciò a distruggere l'armonia del loro universo.


Nel 1941 la seconda guerra mondiale fece salire alle stelle il prezzo della gomma da masticare, prediletta dai soldati americani, che si ricava dal chicle, il lattice dell'Achras sapota. Così arrivarono nella giungla le orde dei chicleros. I lacandoni morivano a decine, sterminati da improvvise epidemie.

 

Delle piste aperte nel folto della vegetazione approfittarono i mercanti di legnami pregiati, i madereros, che iniziarono a sventrare la foresta con le motoseghe. Sulla loro scia seguirono i coloni, spesso indiani degli altipiani del Chiapas, mossi dalla cronica fame di terreni coltivabili, imposta al Messico dal latifondo e dalla crescita della popolazione. E qui la storia dei lacandoni sarebbe potuta terminare, tragicamente: i "buoni selvaggi" completamente estinti o assimilati, la foresta interamente distrutta.
 
Ma inaspettatamente giunse il soccorso.
Gertrude Duby (1901-1993), per gli amici Trudi, nata a Berna, penetrò a dorso di mulo nella selva lacandona dopo un'esistenza avventurosa. Poco dopo lo scoppio della guerra, nel 1940, si stabilì in Messico, dove cominciò a lavorare come giornalista. Imparò anche a scattare fotografie, al solo scopo, sostiene con qualche civetteria, di documentare i suoi articoli. Il suo sogno era però di incontrare i lacandoni.

 

Nella Selva incontrò anche un nuovo marito, l'archeologo americano Frans Blom, ma il colpo di fulmine più potente scoccò tra Trudi e i lacandoni.La giornalista svizzera sposò con dedizione totale la loro causa e mise al loro servizio la sua vulcanica energia, il suo temperamento caparbio, le capacità organizzativi e le doti politiche   e giornalistiche affinate dalla più che ventennale esperienza nel socialismo europeo. La fiducia reciproca tra Trudi e i lacandoni venne subito consolidata dalla calorosa intesa con il più autorevole dei too'hil del nord, Chan K'in il Vecchio.


Nel 1940, i lacandoni erano circa 400, ma nel 1948 ne sopravvivevano solo 156.
Interessando antropologi americani ed europei, Trudi scatenò una campagna per fare loro arrivare con urgenza aiuti medici: oggi superano i 500.


Trudi li convinse ad abbandonare i loro accampamenti isolati e a riunirsi in comunità più grandi, quelle dove vivono tuttora: i lacandoni del nord sul lago di Najá e sul lago di Merizabok; quelli del sud sul fiume Lacanjá, vicino alle rovine della città maya di Bonampak, famosa per ospitare gli unici dipinti murali a colori vivaci sopravvissuti alle intemperie, considerata la Cappella Sistina dei maya. Il pericolo maggiore era tuttavia dietro l'angolo.


A partire dagli anni Sessanta l'invasione dei coloni messicani aumentò spaventosamente: il governo aveva deciso di sfruttare il legname pregiato e di iniziare prospezioni petrolifere, aprendo nuove strade nella giungla con macchinari pesanti.
Si considerava necessaria e inevitabile la distruzione completa della Selva.
A molti contadini poveri di tutto il Messico vennero offerti titoli di proprietà su scampoli della foresta, a condizione che vi si trasferissero con le famiglie.


Nel 1972 Trudi e Chan K'in ottennero la prima vittoria: il governo messicano riconosceva il possesso nominale di ben 6140 chilometri quadrati di Selva ai 66 capifamiglia lacandoni, e cominciò a pagare loro i diritti per il taglio degli alberi, in misura ridicola rispetto al ricavato, ma questi incassi modesti risultavano cifre enormi per gli standard della vita dei lacandoni.
I "selvaggi" lacandoni, appena usciti da una cultura neolitica, si trovarono di colpo a essere gli indios più ricchi del Messico.
Questo trasformò radicalmente il loro modo di vivere e da "fossili viventi" in pericolo di estinzione divennero gli indiani del Chiapas più adattati al mondo moderno.


Ma a quale prezzo? La cultura tradizionale dei lacandoni era in pezzi.
Dal 1988 tagliare alberi è diventato illegale, così come uccidere o prelevare la fauna selvatica, ma corrompendo (facilmente) le guardie forestali si può fare di tutto: portarsi via camion di legna, uccidere giaguari e ocelot per le loro pelli, e commerciare, vive, le ormai rare Ara macao e Ara militaris.


Nel 1989, l'ultima vittoria di Trudi è stata di costringere il governo messicano ad abbandonare il progetto di un sistema di dighe sul fiume Usumacinta.
Nel marzo del 1991 il Messico siglò un accordo con l'organizzazione ecologista Conservation International, impegnandosi a salvare ciò che restava della Selva lacandona in cambio di una riduzione di quattro miliardi di dollari del suo debito estero.


Interrogata sulla vicenda Trudi rispose: “La Selva? Non c'è speranza. E' finita. Del resto, un giorno o l'altro anche il mondo dovrà finire".
Lo stesso Chan K'in, capelli leggermente brizzolati nonostante avesse tra i 95 e i 100 anni, soleva ripetere: “So che è vicino il xutan, il giorno ultimo, quando gli dei concluderanno questo ciclo del mondo.
La terra si seccherà e si creperà, una luna rossa incomberà sulla terra, i giaguari e i coccodrilli della notte mangeranno tutti gli uomini.
Mio nonno diceva che era ancora lontano, mio padre che non era ancora vicino.
Ma a me gli Dei lo hanno detto: il xut-an sta per venire.”


Il 21 dicembre del 2012 è la data della fine del ciclo.
Da ultracentenario e lasciando un figlio di poco più di tre anni, Chan K’in morì il 23 dicembre del 1996. Tre anni esatti dopo la morte della sua amica Trudi

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Paese: Messico
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