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Adriana Langtry ritorna a El Abasto, il quartiere di Gardel

26.08.2011 // I viaggi di ...

Muri del Abasto

Adriana Langtry è nata a Buenos Aires e risiede a Milano dal 1977. Ha pubblicato recensioni, racconti e poesie su diverse riviste letterarie, e lavori d’arte plastica per le edizioni P.J.Varet (Francia). Fa parte della “Compagnia delle Poete” fondata da Mia Lecomte.  I suoi lavori sono pubblicati sul sito  www.collagepoesie.it

 

Era da molto che non tornavo in quell’area di Buenos Aires conosciuta come El Abasto, nata alla fine dell’Ottocento intorno a uno dei  grandi mercati porteňi di approvvigionamento alimentare, il Mercado del Abasto, appunto (dallo spagnolo abastecer = fornire i bastimenti soprattutto di viveri).

Il quartiere, tuttora inesistente a livello amministrativo, si sviluppa nel corso del XX° secolo come una sorta di enclave tra due quartieri dell’ovest urbano: quello di Almagro, antica zona residenziale poi frazionata dove s’installa una buona parte dell’immigrazione basca e italiana,  e quello commerciale di Balvanera, con la sua stazione ferroviaria  “Once de Septiembre” inaugurata nel 1882.

Il Mercato della frutta e della verdura, poi anche della carne, diventa il fulcro intorno al quale  si sviluppa una borgata popolare, eterogenea e multiculturale. Da quella mescolanza di lingue, dialetti ed esperienze nascerà una delle espressioni più tipiche della cultura porteňa: il tango. Non a caso lo stesso Carlos Gardel, soprannominato per i suoi neri capelli “el morocho del Abasto”, trascorre una parte della sua vita in questo rione.

Avevo un brutto ricordo del posto. L’ultima volta che c’ero stata, agli inizi degli anni ‘90, il Mercato era già chiuso da qualche anno e la zona abbandonata a se stessa. E a dire il vero, non l’avrei inserito nel mio periplo se non fossi andata alla ricerca dell’antica casa di quei nonni anglo-italiani che andavo a trovare da piccola e che abitavano non molto lontano.

La casa la ritrovai. Forte emozione. E così, camminando, mi ritrovai a girare per le stradine interne di un nuovo Abasto, dove storia e crescita urbana si fondono in quell’ibrido estremo che caratterizza Buenos Aires. E poi... nuovo, proprio nuovo non direi.  Ancora una volta riuscii a inciampare nelle mattonelle rotte che seminano i marciapiedi cittadini.  Un “luogo comune” dal quale si ricava però una peculiarità del posto: la messa in opere delle mattonelle è a carico dei singoli condomini. Motivo per cui i marciapiedi sono una specie di patchwork di mattonelle di tutte le  dimensioni e materiali che sembrano riflettere, dal tipo e dallo stato della pavimentazione, la struttura gerarchizzata della società.

Proseguo dall’Avenida Córdoba giù per Agüero verso via Jean Jaurés, dove mi hanno parlato di opere di rimodernamento urbano da poco  ultimate.  Alle case basse d’inizio Novecento, dai grandi finestroni e  balconi di ferro battuto - la maggior parte in vendita -  si alternano grattacieli,  ormai vecchiotti,  e nuovi cantieri che, non si sa bene come e per chi, spuntano come funghi dappertutto. Un certo “sabor de barrio” si trova ancora in qualche bar all’angolo coi tavolini di legno, nell’officina meccanica aperta sulla strada o nei vecchi kioskos di dolciumi, quei pochi che non sono diventati piccoli supermercati o internet point.

Arrivo a Jean Jaurés.  E’ cambiata davvero. Le facciate delle antiche casonas sono state ridipinte con la tecnica del fileteado, una tecnica pittorica sinuosa e  colorita introdotta nel primo Novecento da immigrati europei, forse italiani, per decorare carri e carretti. Successivamente, questa sorta di liberty porteňo fu utilizzato nell’ornamento dei mezzi di trasporto e fino a metà degli anni Settanta si potevano vedere ancora gli spericolati colectivos  girare per Buenos Aires ricoperti di ghirigori. Tango e filete, due espressioni dell’identità cittadina che si ritrovano a pochi metri l’uno dall’altro,  nel Museo del Fileteado e nella Casa Museo de Gardel.

Qualche metro più avanti, girando a destra s’imbocca un altro tratto rimodernato ad arte,  il Pasaje Zelaya, duecento metri da poco  resi pedonali fra lampioni d’epoca, murales e adoquines (il tipico acciottolato di una volta). Qui, le facciate delle case commemorano il tango e i suoi artefici con gigantografie che riproducono spartiti e parole di tanghi famosi.

A dire il vero, questa sorta di maquillage urbano m’ispira una certa diffidenza. Anche se capisco l’importanza economica della rivalutazione del luogo ho sempre la sensazione che non si vada oltre il mero fatto turistico o folklorico. Ma forse  in fondo mi sbaglio, la zona di Abasto sembra sia diventata oggi un  importante polo culturale con teatri e locali aperti fino a tarda notte e diversi centri impegnati in progetti sociali.

E infine, eccomi sulla Avenida Corrientes dove s’innalza la struttura in stile Art Déco di quel Mercado del Abasto che negli anni Trenta sostituì i vecchi magazzini ottocenteschi. L’edificio,  riaperto nel 1999, è stato trasformato, ahimè, in un enorme Shopping Center. Ma comunque vale la pena di visitarlo perché la ristrutturazione ha conservato integralmente la splendida facciata di ferro, vetro e cemento, diventata patrimonio culturale della città. Nei suoi 120.000 metri quadri il Centro Commerciale alberga le dodici sale del Cinema Hoyst nelle quali si tiene ogni aprile il BAFICI, il Festival di Cinema Indipendente di Buenos Aires.

Un ultimo appunto curioso: nel 1946 il Mercato ebbe un ispettore molto qualificato, un tale Jorge Luis Borges nominato per chi sa quale strano motivo (!)... dallo stesso Juan Domingo Perón.

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02.09.2011 by Mariella Moresco
Paese: Argentina
Viaggio in Argentina
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